Rapporto Censis, italiani sfiduciati e preoccupati dal lavoro e dal welfare

Rapporto Censis, italiani sfiduciati e preoccupati dal lavoro e dal welfare

Lo scorso 6 dicembre è stato presentato il 53° Rapporto sulla situazione sociale del Paese del Censis.

Il dato che emerge sui tanti illustrati è lo stato d'animo di incertezza con il quale il 69% degli italiani si prepara al futuro. Sono due le grandi preoccupazioni degli italiani: il lavoro e il welfare.

Il 74% degli italiani crede che nei prossimi anni l'economia continuerà a oscillare tra mini-crescita e stagnazione, e il 26% è sicuro che è in arrivo una nuova recessione.

È come se il Paese vivesse in uno stato d'ansia permanente. Negli ultimi tre anni il consumo di ansiolitici e sedativi è aumentato del 23% e gli utilizzatori sono ormai 4,4 milioni (800.000 di più di tre anni fa). Disillusione, stress esistenziale e ansia originano una evidente sfiducia. Il 75% degli italiani non si fida più degli altri, il 49% ha subito nel corso dell'anno una prepotenza in un luogo pubblico (insulti, spintoni), il 44% si sente insicuro nelle vie che frequenta abitualmente, il 26% ha litigato con qualcuno per strada.

Altro fenomeno preoccupante segnalato nel Rapporto è la crescente pulsione antidemocratica.

Il 76% degli italiani non ha fiducia nei partiti (la percentuale sale all'81% tra gli operai e all'89% tra i disoccupati). Il 58% degli operai e il 55% dei disoccupati sono scontenti di come funziona la democrazia in Italia. Il 48% della popolazione dichiara che ci vorrebbe un «uomo forte al potere» che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni (e il dato sale al 56% tra le persone con redditi bassi, al 62% tra i soggetti meno istruiti, al 67% tra gli operai).

Il lavoro e la disoccupazione preoccupano il 44% degli italiani (contro la media del 21% dei cittadini europei), il doppio rispetto all'immigrazione (22%), più di tre volte rispetto alle pensioni (12%), cinque volte di più della criminalità (9%) e dei problemi ambientali e climatici (8%). L'occupazione è cresciuta ma non ha creato ricchezza e sviluppo. Nel periodo 2007-2018 il part time è aumentato del 38%. Particolarmente preoccupante l'aumento del part time involontario, che riguarda 2,7 milioni di lavoratori. Nel 2007 pesava per il 38,3% del totale dei lavoratori part time, nel 2018 rappresenta il 64,1%. E tra i giovani lavoratori il part time involontario è aumentato del 71,6% dal 2007. Nello stesso periodo le retribuzioni del lavoro dipendente sono diminuite del 3,8%.

La fotografia del nostro Paese che viene confermata anche quest'anno è quella di una società invecchiata, con pochi giovani e pochissime nascite. Dal 2015 - anno di inizio della flessione demografica, mai accaduta prima nella nostra storia - si contano 436.066 cittadini in meno, nonostante l'incremento di 241.066 stranieri residenti. Nel 2018 i nati sono stati 439.747, cioè 18.404 in meno rispetto al 2017. Nel 2018 anche i figli nati da genitori stranieri sono stati 12.261 in meno rispetto a cinque anni fa. Caduta delle nascite e invecchiamento demografico progressivo determineranno la realtà che si prospetta tra vent'anni: su una popolazione di 59,7 milioni di abitanti, gli under 35 saranno 18,6 milioni (il 31,2%) e gli over 64 saranno 18,8 milioni (il 31,6%). Sulla diminuzione della popolazione giovanile incidono anche le emigrazioni verso l'estero: in un decennio più di 400.000 cittadini italiani 18-39enni hanno abbandonato l'Italia, cui si sommano gli oltre 138.000 giovani con meno di 18 anni.

Il declino demografico interessa in maniera particolare il Mezzogiorno che dal 2015 ha perso quasi 310.000 abitanti (-1,5%), contro un calo della popolazione dello 0,6% nell'Italia centrale, dello 0,3% nel Nord-Ovest, dello 0,1% nel Nord-Est e dello 0,7% a livello nazionale.

La riduzione demografica si concentra sulla popolazione attiva e determinerà inevitabilmente delle conseguenze sulla sostenibilità del sistema di welfare.

L'aspettativa di vita alla nascita nel 2018 è di 85,2 anni per le donne e 80,8 per gli uomini. Le previsioni al 2041 salgono rispettivamente a 88,1 e 83,9 anni. Oggi gli over 80 rappresentano il 27,7% del totale degli over 64 e saranno il 32,4% nel 2041. Nonostante i miglioramenti complessivi dei livelli di salute della popolazione, l'80,1% degli over 64 è affetto da almeno una malattia cronica, il 56,9% da almeno due. Questi ultimi aumenteranno di 2,5 milioni di qui al 2041.

In Italia le persone non autosufficienti sono 3.510.000 (+25% dal 2008), in grande maggioranza anziani: l'80,8% ha più di 65 anni. Non è autosufficiente il 20,8% degli anziani. Secondo le proiezioni più attendibili nel 2040 i non autosufficienti saranno 5.650.000. Le regioni con il più alto tasso di popolazione non autosufficiente sono: Puglia (8,5%), Sardegna (8,2%), Umbria (7,8%), Sicilia (7,2%) e Campania (7,1%). Mentre le regioni dove si è registrato il maggiore incremento rispetto al 2008 sono: Trentino Alto Adige (+60,8%), Sardegna (+56,5%), Emilia Romagna (+45,9%), Campania (+40%) e Puglia (+35,8%).

Insufficienti e inadeguate sono le risposte pubbliche a un fenomeno destinato a crescere, considerato l'invecchiamento progressivo della popolazione.

La spesa pubblica per la long term care è di circa 12,4 miliardi di euro, di cui 2,4 miliardi destinati alle cure domiciliari, cifra che rappresenta il 10,8% della spesa sanitaria. La media UE è del 15,4% e costituisce il 15,5% del totale della spesa sanitaria in Gran Bretagna, il 15,4% in Germania, il 13,9% in Francia, il 10,9% in Spagna.

Il 56% degli italiani dichiara di non essere soddisfatto dei principali servizi socio-sanitari per i non autosufficienti presenti nella propria regione (il 45,5% dei residenti al Nord-Ovest, il 33,7% nel Nord-Est, il 58,2% nel Centro, il 76,5% al Sud). L'onere della non autosufficienza ricade direttamente sulle famiglie, chiamate a contare sulle proprie forze economiche e di cura. Sono circa 4 milioni i familiari impegnati nell'assistenza ad un anziano non autosufficiente.

Per il 33,6% delle persone con un componente non autosufficiente in famiglia le spese di welfare pesano molto sul bilancio familiare, contro il 22,4% rilevato sul totale della popolazione. Forte è la richiesta delle famiglie di un supporto anche economico: il 75,6% degli italiani è favorevole ad aumentare le agevolazioni fiscali per le famiglie che assumono badanti.

Per quanto riguarda il rapporto degli italiani con la sanità, si conferma la tendenza a rivolgersi sia al Servizio sanitario nazionale, sia a operatori e strutture private. Nell'ultimo anno il 62% degli italiani che ha svolto almeno una prestazione nel pubblico ne ha fatta anche almeno una nella sanità a pagamento: il 56,7% di chi ha un reddito basso e il 68,9% di chi ha un reddito di oltre 50.000 euro annui. Nell'ultimo anno su 100 prestazioni rientranti nei Livelli essenziali di assistenza che i cittadini hanno provato a prenotare nel pubblico, 27,9 sono transitate nella sanità a pagamento; su 100 visite specialistiche che si è tentato di prenotare nel pubblico, 63,3 sono state svolte nella sanità pubblica mentre 36,7 in quella privata; su 100 accertamenti diagnostici che si è tentato di prenotare nel pubblico, 75,2 sono state eseguite nel pubblico e 24,8 nel privato. Marcate le differenze territoriali: il 22,6% nel Nord-Ovest, il 20,7% nel Nord-Est, il 31,6% nel Centro, il 33,2% al Sud. Forte è la pressione della spesa sanitaria privata: per l'81,5% degli italiani pesa molto o abbastanza sul bilancio familiare (il 77,8% di chi risiede nel Nord-Ovest, il 76,5% nel Nord-Est, l'82,5% nel Centro, l'86,2% al Sud).

Altro dato che ci interessa direttamente è il registrato aumento di un risentimento nei confronti del sistema previdenziale. Per il 45,2% degli italiani l'età pensionabile non deve seguire l'andamento della speranza di vita, mentre è favorevole il 43,2%. Il 53,6% delle pensioni erogate in Italia è inferiore a 750 euro mensili e non sorprende che il 73,9% degli italiani sia d'accordo con la necessità di portare le pensioni minime a 780 euro al mese con risorse pubbliche. Stenta poi a decollare il sistema previdenziale complementare. Nel 2018 erano quasi 8 milioni gli iscritti alla previdenza complementare, ossia il 34,3% degli occupati, ma la quota di iscritti scende al 27,5% tra i lavoratori millennial. Solo il 23,3% degli italiani dichiara di sapere bene che cosa sia la previdenza complementare (il 19,4% tra i 18-34enni).

10/12/2019

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