Manovra finanziaria e Brexit, il commento di Giulio Sapelli

Manovra finanziaria e Brexit, il commento di Giulio Sapelli
24/01/2019
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Manovra finanziaria e Brexit, il commento di Giulio Sapelli

“Bruselas avisa de que el presupuesto pone en riesgo la estabilidad fiscal”: questo titolo campeggiava, non in prima, ma a pagina 37‎ de “El Pais” del 21 novembre 2018 con una foto in cui una sorridente Nadia Calvino, ministra spagnola dell'economia, ha al suo fianco un accigliato Pierre Moscovici, del quale si riportano le solite frasi minacciose. Due colonne sotto la campeggiante fotografia, un piccolo grassetto “Otro paso hacha al choque con Italia”.

Una sorta di normale avviso ai naviganti con un tono che è lo stesso che segna l'armonica dei mass media in generale a iniziare dalle televisioni spagnole. È immaginabile che lo stesso tono di normalità lo si noterà anche quando verrà il giorno della manovra francese. Mi si dirà che tutto dipende dalla tranquillità che viene dall'avere un debito inferiore a quello italico e via di seguito! Certo, ciò ha la sua rilevanza ma non si sfugge all'impressione che in Italia le vicende del debito e della manovra economica si collochino in un contesto ben diverso da quello esistente nelle altre nazioni europee. S'intenda: i commissari europei giocano rispetto ‎alle questioni di bilancio la stessa parte in commedia: recitano una parte, ossia sostengono un ruolo. Il pilota è automatico ed ex ministri ed ex capi politici giunti in commissione dimenticano i tempi in cui dal popolo furono eletti e si trasformano in meccanismi serventi la religione tecnocratica che sovrasta i cieli europei e lo fanno con una tempestività che è sempre uguale e perennemente simile! Trionfo dell'ideologia e della nuova religione dell'austerità che distrugge ogni fede nel nuovo paganesimo imperante!

Il problema certo è questa infernale giostra di automatismi che diffonde deflazione e dominio tedesco. Ma ben più inquietante e devastante è lo spirito della borghesia vendidora italica che è ormai pervasa d'esaltazione servente in una sorta di ritorno agli anni Novanta. Oggi non si privatizza senza liberalizzare secondo il modello argentino-prodiano-a la Sachs collaudato ormai su scala mondiale. Oggi ci si affretta e ci si dispone a vendere a prezzi scontati grazie all'erosione dei margini delle imprese, alle difficoltà in cui sono le banche per il predomínio anche ideologico e poi strumentale dello spread. Tutto si prepara perché si possano acquisire i nostri asset più preziosi. Un vero dramma cui si preparano gran parte delle classi politiche non governative e tutta la borghesia vendidora che stabilmente controlla mass media e nodi strategici del potere nazionale.

Le classi politiche al governo paiono scarsamente consapevoli della posta in gioco e con il clamore che producono fanno in sostanza il gioco dei venditori. Dovrebbero negoziare in segreto e sempre in guisa di nuovi Richelieu e non di araldi dell'allarmismo a rovescio. Ma dovrebbero, così facendo, far prevalere non le logiche dei benefíci immediati - elettorali - a vantaggio dei rischiosi benefici futuri. Rischiosi e incerti ossia diretti a rovesciare le sorti dei Commissari automatici in uno sforzo di tenuta e d'inventività insieme. Compito ciclopico: compito da statisti, pensate un po'...

Il tutto mentre: ancora Brexit!

È una disgregazione, infatti, che pare non finire mai. Il governo inglese entra in una crisi profonda, che esprime bene quello che sta lentamente minando le basi socio-politiche dell'Europa e da cui forse il Regno Unito non ha fatto in tempo a salvarsi. La deflazione secolare va di pari passo con la disgregazione delle subculture politiche europee e ciò conduce all'emersione dei caciqui: essi esistevano certo di già nei partiti ma erano messi in sonno dalla pesantezza dei legami territoriali e dal modello rank and file dell'organizzazione della partecipazione politica di massa. Ora, quest'ultima ha trasformato il suo volto per la digitalizzazione crescente delle relazioni virtuali e così accadendo l'angoscia politica si condensa non più nella ribellione oppure nell'astensione di massa, ma nell'emersione – appunto – dei capi politici solitari, alveolari. Quelli che io chiamo caciqui seguendo l'insegnamento del grande Joaquín Costa, studioso dell'oligarchia spagnola di inizio Novecento. Ma ciò che caratterizza il cacico è la lotta di tutti contro tutti: è la battaglia in solitudine con pochi fedeli: è l'essere, come diceva Peristianny nei suoi studi mediterranei: “L'essere Re come ogni uomo è nel Mediterraneo”.

Ora anche nel Regno Unito la lotta è tra “Re nani”, certo, ma tra “nani” che combattono da soli l'un contro l'altro “armati”. Siamo ancora troppo succubi dell'Unione Europea, dobbiamo difendere i nostri territori – gridano – e via di seguito con le cantilene che conosciamo bene e che sono l'essenza del neo-jingoismo di massa, del nazionalismo dei poveri e delle borghesie nazionali anti-borghesie vendidore. L'Europa, dinanzi a questo fenomeno, non tenta di costruire una via di uscita, non tenta di aprire le porte al dialogo, ma si veste invece come una Erinni sempre in battaglia e scrive una bozza di trattato “in deroga” ossia dà vita a un nuovo trattato di centinaia di pagine che ancor più infiamma gli animi dei brexiter e scalda il cuore degli scopritori delle ataviche virtù. Il tutto mentre la crisi economica europea e mondiale avanza e Mario Draghi interpreta bene le paure nord-americane per una crisi europea senza fine. Infatti: “La fine del Quantitative Easing e il rialzo dei tassi, attesi invariati almeno fino a tutta l'estate 2019 – dice – potrebbero essere rimessi in discussione già a partire da dicembre a causa di un aumento meno marcato dei prezzi rispetto alle aspettative”. E così ha continuato ieri a Francoforte: “L'inflazione nell'Eurozona continua a oscillare intorno all'1% e deve ancora mostrare una tendenza al rialzo convincente”. E quindi l'addio al QE (Quantitive Easing) è rimandato. “Il consiglio (della BCE) – ha altresì detto Draghi – ha anche notato che le incertezze sono aumentate, ma solo a dicembre, con le nuove previsioni disponibili, saremo più in grado di fare una piena valutazione”.

Insomma: i segnali non sono deboli, ma assai chiari. Pochi giorni or sono spiccava sul Financial Times l'articolo del responsabile dell'Ufficio Studi della Deutsche Bank che invocava, con parole inconsuete, da parte dell'UE, una sorta di benevolenza nei confronti dell'Italia: una nazione, si diceva, con un avanzo primario sempre attivo, una forza nel risparmio privato assai notevole e una situazione industriale tra le più invidiabili. Evidentemente il peso della crisi profonda in cui versa Deutsche Bank ispira le parole del capo dell'Ufficio Studi che invia un messaggio chiaro ed eloquente ai falchi nazionalisti ordo-liberisti polacchi e dell'Europa centrale che non vedono l'ora di contendersi il primato di co-attori nella lotta che si sta scatenando nel sistema europeo nell'occaso del potere condizionante prevalente tedesco. Un tramonto che rischia di lasciare l'Europa senza un ancoraggio definito e sicuro. Anche la stella di Macron decade e le pulsioni imperiali della Francia – come hanno dimostrato le vicende libiche, che devono essere lette in stretta congiunzione con quelle europee – la trascineranno sempre più verso il dominio africano anziché nel cuore del suo destino europeo che non può che essere antitedesco per una coazione a ripetere che è anche la salvezza dell'Europa, impedendo in tal modo un solo dominatore. E le conseguenze le abbiamo viste con l'ordo-liberismo e la deflazione secolare. I gilet jaune di cui oggi si parla a dismisura non sono altro che l'effetto della disgregazione sociale e dell'ecologia classista. Jupiter Macron è caduto nella trappola della verticalità disgregatrice che ora contro di lui si rivolta. Chi di spada ferisce di spade perisce.

La Brexit è dunque un evento tragico che avviene tuttavia senza una tragedia che si rappresenti per quello che è: una catastrofe.

Prevale invece – seguendo T.S. Eliot – uno sbadiglio, il non assumersi tutte le responsabilità, un non cogliere il dramma di un abbandono definitivo dell'Europa da parte della patria culturale dell'umana libertà, della common law.

Non si può continuare a far finta di niente e considerare la vicenda Brexit un incidente della storia mentre invece è una vera e propria rivelazione della storia europea e dei limiti che ha qualsivoglia sua tentazione federalista o funzionalista come quella che le élite tecnocratiche hanno perseguito nell'ultimo mezzo secolo. Quel secolo che non finisce mai: che è dietro alle nostre spalle e che ora si chiude con il distacco della nazione più civile del globo terracqueo. Edmond Burke ci aveva ammonito: guai a sfidare la tradizione e la storia. Esse si ribellano. E dinanzi a tale ribellione che ricorda l'ira dei miti, che, come dice la Bibbia, quando si rivela è terribile, dinanzi a tutto ciò la Commissione Europea si accanisce sull'Italia e discute di quanti errori si sarebbero fatti consentendo a essa un grado di “flessibilità” troppo elevato, emanando una condanna dei governi precedenti e non solo dell'attuale governo italiano. Non hanno fatto i conti, i Commissari vassalli, con la paura che sta invadendo l'Imperatore tedesco che fa parlare ora i suoi banchieri e che forse si prepara a una mossa imprevista, per difendere certo il suo impero ma anche l'Europa, o meglio ciò che dell'Europa rimarrà dopo il dominio dei neofiti dell'ordo-liberismo che riescono a far peggio dei loro capi. La crisi tedesca si avvicina con la successione alla testa della CDU che non ha affrontato alcuno dei problemi enormi che si impongono. Tra poco si comprenderà veramente sul crinale di quale abisso siamo giunti.

Giulio Sapelli


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