Il vero bisogno dei nostri vecchi

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23/02/2016
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Il vero bisogno dei nostri vecchi

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In un racconto struggente e bellissimo, intitolato «I due autisti», Dino Buzzati parlò dell'ultimo viaggio di sua madre, sul carro funebre che la portava da Milano alla terra d'origine, il Bellunese, per il funerale e la sepoltura. Lui, Dino, su un'auto insieme con i fratelli, seguiva a un centinaio di metri il «nefasto carro», che procedeva lentamente; e immaginava quali potessero i discorsi dei due autisti. Di che cosa mai potevano discorrere? Di vacanze? Di macchine? Di calcio? Di donne? Queste sarebbero state le ultime parole "udite" da sua madre prima di passare all'aldilà.


Fu in quel momento, mentre si chiedeva di che cosa stessero parlando i due autisti, che Buzzati fu assalito da tutt'altro pensiero: «Pensai a quanto poco tempo io avessi tenuto compagnia alla mamma negli ultimi tempi. E sentii quella punta dolorosa nel mezzo del petto che abitualmente si chiama rimorso». «Cominciò a perseguitarmi l'eco della sua voce, quando al mattino entravo in camera sua prima di andare al giornale (...) "Ci sei a pranzo?" Dio mio, quanto innocente e grande e nello stesso tempo piccolo desiderio c'era nella domanda (...) Ma io avevo appuntamenti cretini, avevo ragazze che non mi volevano bene e in fondo se ne fregavano altamente di me, e l'idea di tornare alle otto e mezzo nella casa triste, avvelenata dalla vecchiaia e dalla malattia, già contaminata dalla morte, mi repelleva addirittura (...) "Non so" allora rispondevo "telefonerò". E io sapevo che avrei telefonato di no. E lei subito capiva che io avrei telefonato di no e nel suo "ciao" c'era uno sconforto grandissimo. Ma io ero il figlio, egoista come sanno esserlo soltanto i figli (...) Vecchia, ammalata, distrutta anzi, consapevole che la fine stava precipitando su di lei, la mamma si sarebbe accontentata, per essere un poco meno triste, che io fossi venuto a pranzo a casa. Magari per non dire una parola (...) Ma lei, dal letto, perché non poteva muoversi dal letto, avrebbe saputo che io ero di là in tinello e si sarebbe consolata».


Mi fermo qua. Sono momenti che credo molti di noi abbiano provato, quando ormai è troppo tardi. Questo racconto di Buzzati mi è tornato in mente nei giorni scorsi, alla notizia della chiusura di due case per anziani a Parma e in provincia. Due vicende del tutto diverse fra loro, ma che entrambe ci colpiscono nello stesso punto del cuore. Dove sono, oggi, i nostri vecchi? Come li sta trattando la nostra società? O meglio: come li stiamo trattando noi?


Abbiamo parlato, anche qui sulla Gazzetta, dell'esigenza di controlli negli istituti per anziani: per verificare l'idoneità delle strutture e per punire chi si comporta male. Vero, sacrosanto. Ma i nostri genitori hanno soprattutto bisogno di noi: noi ingrugnati per le nostre maledette faccende di ogni genere, noi così distratti, ingrati. Il mondo di oggi non permette più di tenere i vecchi in casa, anche perché a volte essi hanno necessità di un'assistenza professionale. E so bene qual è la difficoltà di chi ha 50 anni e vive quello che gli psicologi chiamano "effetto sandwich": schiacciati fra le preoccupazioni per i figli e quelle per i genitori.
Ma la chiusura delle due case per anziani dei giorni scorsi sono il segnale di una questione che non riguarda solo i carabinieri e le Ausl. (Michele Brambilla)

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