La capacità di raccontare perimetri individuali e paesaggi sociali graffiati

La capacità di raccontare perimetri individuali e paesaggi sociali graffiati

Recensione e riflessione della Professoressa Eide Spedicato Iengo del libro I colori dell'arcobaleno

La capacità di raccontare è, oggi, vistosamente in crisi, ma tale eventualità non riguarda il libro di testimonianze La speranza ha i colori dell'arcobaleno La pandemia nei racconti di uomini e donne con i capelli bianchi, pensato, promosso e gestito dalla Segreteria della Federazione Pensionati CISL dell’Emilia-Romagna che, per inciso, figurerebbe bene nell’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano. Il motivo è presto detto: le sue pagine raccolgono le azioni/reazioni di quarantanove “uomini e donne con i capelli bianchi” all’impatto con quell’infinitesimale particella -peraltro raffigurata in veste di un’innocua pallina illeggiadrita da fiocchetti rossi- che ha destabilizzato la normalità del pianeta.

Costruito sulle esperienze di quella generazione che, durante i primi mesi di un tragico 2020, ha pagato il prezzo più alto al contagio prodotto dal Covid-19, questo libro accompagna accuratamente nella lettura di perimetri individuali e paesaggi sociali graffiati o, meglio, incisi malevolmente da una pandemia che ha messo in ginocchio la nostra natura di animali da branco, scompaginato vissuti e relazioni, costretto a uscire dai binari delle abitudini e dei micro-rituali della vita quotidiana, ossia da quello spazio-tempo in cui si esprime la concretezza di ogni biografia umana in tutte le sue molteplici sfaccettature.

In opposizione alla vacuità della chiacchiera (oggi, dominante) questi precisi, rettilinei, lineari racconti di sé fanno da guida in una storia collettiva in cui è difficile non riconoscersi: il timore del contagio, il limbo di irrealtà e di attesa, l’incertezza del futuro, la solitudine, i codici di comportamento guardinghi e vigilati, l’obbligo di nuovi alfabeti comunicativi, l’anestesia dei canali sensoriali del corpo, la sospensione del vocabolario degli affetti (quantunque vicariati da flussi, connessioni virtuali, immagini mediate da uno schermo), sono esperienze che, verosimilmente, chiunque ha provato

Corre, tuttavia, l’obbligo di sottolineare che alle compromissioni dissestanti prodotte dal virus, nessuno degli autori e delle autrici del libro ha ceduto. Pur non omettendo di denunciare il peso di personali défaillance e momenti critici, ci si è impegnati a rimodulare in modo “altro” il proprio agire, attivando efficaci, personali terapie di contrasto. Il confinamento fra le pareti domestiche, per esempio, ha indotto a rivisitare il rapporto con la” casa” e a viverla in modo non più routinario, frettoloso, distratto. In assenza degli impegni consueti, è stato trovato il tempo per intrattenersi con “lei”, scoprendo il gusto di mettere le virgolette a quelle piccole cose che vivificano e rendono sapido anche il gesto più consueto, come programmare il menù per il pranzo con il proprio coniuge, o apparecchiare con cura la tavola, o riscoprire odori dimenticati come quelli di una pizza o di una torta appena sfornate. Come da qualcuno precisato, anche le zone più appartate e meno frequentate dell’ambiente domestico possono riservare sorprese inaspettate. Attraverso oggetti dimenticati in soffitta, ad esempio, ci si può imbattere in quell’espressione del tempo che gira in tondo e risveglia sentimenti di pietas per storie, persone, affetti, sentimenti, pensieri, vagabondaggi emotivi, stagioni perdute, insomma per quei luoghi dell’io che, riallacciando all’area identificativa di ciò che gli altri sono stati perché noi potessimo essere, allontanano dalla bolla di un presente sempre più asfittico e spersonalizzante.

Le soste forzate nella propria abitazione hanno, altresì, sollecitato a riflettere sul sistema mass-mediatico, del quale, con ragione, qualcuno ha sottolineato la perdita (o l’incapacità?) della funzione “primaria”: saper comunicare con chiarezza. Soprattutto nei primi mesi della pandemia, un ginepraio di notizie, interviste, informazioni, dichiarazioni (tra loro spesso discordanti) ha trasformato in un caos di percezioni destabilizzanti ciò che invece avrebbe dovuto essere comunicato in modo chiaro, puntuale, comprensibile a tutti.

In altre pagine di questo volume si coglie, invece, il piacere di prendersi cura di sé, imprimendo un giusto ritmo al corpo e al pensiero. Qualcuno ha scoperto il gusto di camminare (pur con i dovuti accorgimenti imposti dal virus) e di dedicare spazio all’attività fisica, qualche altro si è improvvisato ortolano (peraltro prendendoci gusto), qualche altro ancora è tornato a godere della lettura e della musica, qualcuna ha conosciuto l’inappagabile esperienza della totale libertà. C’è chi, insieme con i propri nipoti, ha inaugurato un cantiere casalingo di manutenzione delle zone critiche della propria abitazione e chi, in assenza del traffico, ha riassaporato l’aria con il naso e con la pelle. Anche il silenzio, che ha avvolto le città, viene descritto non in veste di fattore molesto e inopportuno quanto di contenitore di giorni surreali, e tuttavia rilassanti, che hanno permesso alla natura di riacquistare la sua voce e agli umani di allestire piazzole di sosta per il corpo e per la mente. Alcuni, non casualmente, hanno sottolineato un piacere smarrito da anni: il mutismo della sveglia sul comodino e la messa in pausa delle levatacce mattutine per andare al lavoro. Fatti minimi, senza dubbio, ma indispensabili per dare un senso a giornate altrimenti vuote, drammatiche, deprimenti. Quanto qui sommariamente commentato, chiarisce che queste note di vita quotidiana sono state declinate aderendo alla filosofia del pensiero lento, ovvero di quel corroborante dell’esistenza che insegna a governare il tempo e a liberarsi dell’inessenziale; che fa uscire dai binari degli automatismi e delle inerzie abituali e apprezzare l’importanza delle pause, delle soste, degli intervalli, delle digressioni; che sa mobilitare le energie dell’intelligenza, della volontà, dell’immaginazione e rendere riflessivi anche i lati d’ombra del vivere (come il dolore, la fragilità dell’esistenza, lo sgomento della morte).

Naturalmente anche altre considerazioni trovano ospitalità fra le pagine di questo libro. Viene sottolineato, non a caso, che fra i più vistosi cambiamenti prodotti dalla pandemia, figura l’aumento esponenziale dell’uso delle tecnologie digitali che, pur cambiando il modo di comunicare, hanno permesso di superare i confini materiali e, soprattutto nella fase di maggiore criticità della pandemia e dei prolungati isolamenti imposti dalle misure di prevenzione del contagio, hanno svolto impagabili funzioni relazionali. Anche se in modo “altro”, mediato, più freddo, le tecnologie digitali, WhatsApp, sms, pc, cellulari hanno permesso di conservare (pur se “da remoto”) affetti, amicizie, contatti e, non secondariamente, rispondere alla ineliminabile esigenza di “protezione” dei più fragili attraverso le attività di volontariato.

Lo stile del com-prehendere, la filosofia della cura, l’impegno civile, la logica dell’altruismo che attraversano molte pagine questo diario collettivo, inducono a riflettere su alcune patologie della nostra contemporaneità e, in particolare, su quelle scelte istituzionali che hanno fortemente compromesso un concetto-cardine della convivenza sociale: la sicurezza. Nella sua veste di bisogno primario per l’autoconservazione dei singoli e della specie e di misura del grado di civiltà raggiunto da una società, la sicurezza si trova, al momento, non solo a interagire con realtà sociali sempre più nebulose, inquiete, malferme, ma anche a fronteggiare situazioni di rischio “costruito”, sconosciute alle generazioni precedenti. Pertanto, numerose critiche vengono rivolte alla inconsistenza, talora alla perdita, dei valori tutelanti la qualità della vita (quali la giustizia, il lavoro, la solidarietà, la responsabilità collettiva, l’etica sociale) oggi vistosamente claudicanti: si pensi, al proposito, agli sciagurati tagli effettuati nel servizio sanitario nazionale, il cui personale, tuttavia, ha saputo rispondere in modo encomiabile all’emergenza prodotta dalla pandemia. 

In opposizione a certo nullismo del pensiero e alla politica delle toppe, queste pagine di bilanci individuali e collettivi richiamano, invece, alla necessità di elaborare un grande progetto di ri-organizzazione sociale, civile, politica, economica, invitando a riscoprire il significato di parole traballanti e socialmente appartate (quali etica, coerenza, credibilità, passione, civismo, fiducia, mutualità, onestà intellettuale, legalità) che, lungi dall’alludere a svaporate utopie costituiscono, all’opposto, la premessa indispensabile per allestire nuovi patti sociali: più equanimi, sostenibili, virtuosi, tesi a riaprire il futuro.

Non per caso alla diffusa quanto sciocca retorica del “tutto andrà bene”, “sarà tutto come prima”, questo libro risponde, allertando sulla circostanza che la pandemia ha messo l’umanità di fronte a eventi-soglia che impongono scelte radicali su un “dopo” non facile da allestire, né da gestire. La poli-crisi (sanitaria, economica e di civiltà) che si sta vivendo pretende, inderogabilmente, rivoluzionari cambi di passo nel nostro stile di vita: rispettare il pianeta che ci ospita, innanzitutto, e poi fare i conti con i nostri errori, anticipare gli effetti ultimi delle nostre scelte, tacitare l’arroganza e aver coscienza del senso del limite. In particolare, andrebbe esercitata la responsabilità morale, ossia quel tipo di responsabilità che, facendo leva sull’impegno etico dei soggetti piuttosto che su un sistema di regole vincolanti, educa alla consapevolezza della parzialità del proprio punto di vista e orienta a praticare uno “stare insieme” fondato sullo scambio proficuo di idee, significati, legami simbolici, tanto per citarne alcuni.

Insomma, il progresso e la civiltà (che lo si creda o no, che lo si voglia o no) sono il risultato di sforzi ragionati, consapevoli, collettivi: non sono l’esito di un destino provvidenziale che potrà compiersi, a dispetto dei nostri errori. È tempo, dunque, di cominciare a pensarci in veste di comunità solidale, progettuale, responsabile, planetaria. È questo il messaggio, forte e chiaro, che le pagine di questo denso diario collettivo consegnano al lettore.

 

Recensione e riflessione della Professoressa Eide Spedicato Iengo del libro:

Fausto Cuoghi (a cura di), La speranza ha i colori dell’arcobaleno. La pandemia nei racconti di uomini e donne con i capelli bianchi, Edizioni Lavoro, 2020

Eide Spedicato Iengo, Già professore associato di Sociologia Generale nell’Università degli Studi “Gabriele d’Annunzio”, è stata consigliere della Banca d’Italia (succursale dell’Istituto di Chieti), componente della Commissione Etica nel suo Ateneo di appartenenza e referente dello stesso sia nel Consiglio Territoriale per l’immigrazione della Prefettura di Chieti, sia nel Consorzio Interuniversitario Almalaurea di Bologna, di cui è stata componente nel Comitato Scientifico e nel Consiglio di Amministrazione.

 

17/09/2021

Condividi l'articolo su: