L’Italia è un paese per vecchi?

L’Italia è un paese per vecchi?

“Contromano” fa il punto della situazione con l'intervista di Marco Pederzoli a Loris Cavalletti, segretario Fnp-Cisl per l’Emilia Romagna

Se un tempo gli italiani, per una certa retorica, potevano essere considerati un popolo di santi, poeti e navigatori, oggi si aggiunge in maniera sempre più impellente un sostantivo: quello di un popolo di anziani. Con tutto ciò che naturalmente ne consegue.

Secondo le ultime elaborazioni di dati Istat e Ocse, gli over 65 in Italia sono attualmente 13,6 milioni, ma si prevede che nel 2035 ammonteranno a 17,8 milioni, con un incremento del 31%. Gli over 85, invece, secondo la medesima analisi, aumenteranno del 43%, passando dagli attuali 2,1 a 3 milioni nel 2035. Sarà significativo anche l'incremento degli ultracentenari, attualmente 16mila ma destinati a diventare circa 42mila, con un incremento del 170%. Diventa quindi interessante, date queste cifre, andare a indagare quante siano oggi le persone non autosufficienti che si trovano in una residenza sanitaria assistita (RSA). Solo 200mila, con una previsione per il 2035 di 600mila. Volendo anche essere molto ottimisti, i posti letto in queste strutture dovrebbero presto almeno raddoppiare, per sopperire a un fabbisogno sempre crescente e inderogabile. E calcolando un investimento medio per posto letto di 70mila euro l'anno, entro il 2035 sarà necessario investire una cifra pari a 14 miliardi di euro. Ammesso e non concesso che, come avviene oggi, un quarto degli anziani non autosufficienti con deficit cognitivi acuti continuino a essere assistiti in casa. Altrimenti l'importo complessivo degli investimenti necessari per la creazione di nuovi posti letto nelle RSA salirebbe a oltre 20 miliardi di euro.

Sempre a proposito di RSA, secondo un recente rapporto dell'associazione “Ires Morosini”, la situazione attuale nelle principali regioni della Penisola è la seguente. In Piemonte il 24,8% dell'intera popolazione è over 65, e il 15% di questa è non autosufficiente. Un 3% di questi ultimi soffre di Alzheimer o demenza, quindi i costi giornalieri per un soggiorno in RSA variano a seconda del livello di intensità di cura richiesta. Un esempio: per un soggiorno a media-alta intensità, il costo in media a livello regionale è di 88 euro al giorno, e il SSN può arrivare a sovvenzionare fino al 48%.

In Lombardia gli anziani non autosufficienti, o con autosufficienza parziale, raggiungono 345.000 unità. La quota sanitaria giornaliera, che viene coperta dal Fondo Sanitario Regionale (FSR), è di circa 45 euro, mentre la quota alberghiera, a carico quindi dell'utente, può raggiungere il tetto massimo dei 60 euro giornalieri. Tuttavia, la Regione Lombardia, dal 2015, ha esteso i voucher al settore dei servizi socio-sanitari. Per maggiori informazioni, puoi visitare il sito www.lombardiasociale.it.

In Veneto il numero di over 65 supera il milione. Qui, la quota sanitaria giornaliera delle strutture residenziali in media è di 49 euro per l'assistenza residenziale di primo livello, di 56 per quella di secondo livello e di 92 per l'assistenza presso i Nuclei Alzheimer.

L'Emilia Romagna, grazie a normative regionali ad hoc, ha stabilito che il costo a carico degli utenti e delle loro famiglie non possa essere superiore alla retta di riferimento regionale (50,05 euro).

In Toscana la legge regionale n. 82 del 2009 ha istituito un sistema di accreditamento istituzionale in grado di garantire servizi omogenei sul territorio per offrire risposte ai bisogni assistenziali dei cittadini. La quota sanitaria va dai 52 ai 65 euro giornalieri circa, e la quota sociale è fissata a 50,50 euro.

Nel Lazio, gli ultrasessantacinquenni costituiscono il 21% dell'intera popolazione, con una delle incidenze più basse d'Italia. In questa regione è in vigore il Decreto n. 461 del 02/10/2015, il quale ha sancito che la diaria giornaliera per l'ospitalità in RSA sia per il 50% a carico del Fondo Sanitario Regionale e per il 50% dell'assistito con un'eventuale partecipazione ulteriore da parte del Comune di residenza.

In Campania, dal 2001, la Regione emana linee guida annuali per la programmazione sociale territoriale rivolta alle persone anziane, con obiettivi di tutela dei loro diritti. La compartecipazione alle rette, quindi, da parte del welfare, è del 50%, e la media giornaliera del soggiorno in RSA va dai 106 ai 120 euro.

In Puglia la tariffa è unica per tutti gli assistiti, ed è stabilita in 92,90 euro giornalieri, con il 50% della quota sanitaria coperto dal Sistema Sanitario Regionale e il restante a carico dell'utente ed, eventualmente, del Comune di residenza, come accade per la Regione Lazio.

Secondo un altro studio realizzato dall'Isimm ricerche di Roma (Istituto per lo Studio dell'Innovazione nei Media e per la Multimedialità) in Italia sono attualmente disponibili, tra pubblico e privato, solo 287.685 posti letto per anziani, contro gli oltre 900mila della Germania o i 600mila della Francia. Con 18,3 posti letto ogni mille residenti over 65, l'Italia si trova così al quartultimo posto nella classifica Ocse e ben al di sotto della media europea. Eppure nel 2050 un terzo degli italiani (21,8 milioni) saranno over 65, mentre il 10% dell'intera popolazione sarà addirittura formato da over 80. Risultato: secondo l'Isimm entro il 2040 l'offerta dovrà aumentare almeno di altri 60.400 letti. Anche se va considerato che la mappa delle RSA è a macchia di leopardo: in alcune regioni, come il Piemonte, l'offerta risulta pressoché sufficiente, mentre in altre è deficitaria.

Ma chi può realizzare nuove strutture in Italia? Non certo lo Stato o le Regioni: oggi dei quasi 290mila posti letto presenti in Italia solo il 45% è di proprietà pubblica ed è improbabile che il loro numero aumenti vista la dimensione già abnorme della spesa sanitaria. Un altro 35% delle case è gestito da soggetti privati non profit (come organizzazioni religiose) con risorse tendenzialmente limitate. Il restante 20% appartiene invece agli operatori del privato. Secondo l'Isimm saranno loro a ricoprire il ruolo di assoluti protagonisti del settore, replicando quanto già accaduto in Germania, Francia e Belgio dove si sono sviluppate grandi realtà di portata europea con decine di migliaia di posti letto. In Italia, secondo i dati raccolti dall'Isimm, i due principali gestori privati del settore sono Kos Care (controllata da Cir e dal fondo F2i Healthcare di Cassa Depositi e Prestiti, presente sul mercato col marchio Anni Azzurri) e Sereni Orizzonti, entrambi con circa 5.300 posti letto. A seguire tre gruppi legati alla Francia: Korian (4.600 posti letto), Orpea Italia (1.980), entrambe controllate da capitali transalpini, e La Villa (1.940), partner della società Maisons de famille. Poi ci sono le società Gheron (1.730) ed Edos (1.374) e altre aziende che gestiscono meno di mille posti letto ciascuna.

In fortissimo sviluppo è la società Sereni Orizzonti dell'imprenditore friulano Blasoni: nel 2018 è cresciuta di 1.180 posti letto, in parte attraverso acquisizioni ma soprattutto con la costruzione di nuove residenze. Quasi un'inaugurazione al mese. Ma quanto costa ospitare un anziano in queste strutture private? Nel regime di libero mercato l'offerta si attesta su una media di circa 80 euro giornalieri ma può toccare anche il picco dei 180 euro richiesti nel centro di Milano. In generale le RSA più care sono quelle che prendono in carico persone con livelli crescenti di non autosufficienza. Il dato è legato anche alla dimensione delle strutture: a costare di meno è il soggiorno in quelle di piccole dimensioni, che spesso erogano servizi assistenziali medio-bassi e sono prevalentemente distribuite nel Mezzogiorno. Tariffe comunque in genere elevate che non sono alla portata di tutti e che costringono ogni anno migliaia di italiani, soprattutto donne, a lasciare il posto di lavoro per accudire personalmente i propri cari, non avendo la possibilità di pagare la retta di una RSA.

A offrire sul tema la sua opinione e, soprattutto, a fare il punto della situazione su quello che anche il sindacato Fnp-Cisl sta facendo a livello regionale e nazionale è Loris Cavalletti, segretario Fnp-Cisl per l'Emilia Romagna.

“Il tema dell'assistenza agli anziani – spiega Cavalletti – è uno dei problemi più grandi che dobbiamo e dovremo affrontare nei prossimi anni. Sta aumentando l'età delle persone e aumenta di conseguenza il numero di individui non autosufficienti, con conseguente crescita delle liste di attesa nelle strutture residenziali pubbliche. In Emilia Romagna ci sono oggi costi calmierati, grazie a contributi erogati dalla Regione e da diversi Comuni. Tuttavia, le liste di attesa sono in forte aumento. Nella sola provincia di Reggio Emilia, ci sono attualmente più di 1.000 persone in lista di attesa. Già dalle prossime settimane, quindi, abbiamo deciso di metterci al lavoro per realizzare un'indagine in tutta la regione sul tema delle liste di attesa. I posti, infatti, sono occupati al 100%.

Un ulteriore problema è dato dal fatto che il pubblico, per realizzare nuove strutture per anziani, avrebbe bisogno di molti più soldi, e sappiamo quanto oggi le risorse siano limitate. Dall'altra parte il privato non investe molto perché i costi di queste strutture sono troppo elevati. Teniamo infatti sempre presente che una retta mensile può arrivare a costare, a prezzo pieno, tra i 3 e i 4.000 euro. Il privato quindi, sostanzialmente, non dà risposte a questa esigenza sempre più pressante”.

Che cosa sta facendo la Fnp-Cisl su questo tema?

Stiamo fornendo il nostro contributo per studiare possibili alternative alle residenze sanitarie assistite. È infatti sempre possibile chiedere un aumento delle risorse da investire su questo settore e lo faremo. Tuttavia, siamo ben coscienti che i fondi stanziati non saranno mai sufficienti per coprire l'intero fabbisogno.

Lei ha accennato a possibili alternative al ricovero in una struttura. Può fare qualche esempio?

Così come sono stati inventati, trenta o quarant'anni fa, i centri diurni e l'assistenza domiciliare, ora dobbiamo ripensare ai sistemi e ai modelli di assistenza per gli anziani.

Attualmente, tra i modelli alternativi a strutture per anziani ci sono le case-famiglia e il cosiddetto co-housing. Del resto, lo stesso sistema della famiglia è molto cambiato in questi anni. Da un modello sostanzialmente patriarcale, in cui non c'erano grossi problemi in caso di invalidità di un componente poiché la famiglia riusciva ad assisterlo, ora la tendenza va verso famiglie di uno o due componenti per nucleo: in Italia, in media le famiglie di 2 componenti sono circa il 60%. Questa realtà è data sostanzialmente da due fattori: si fanno meno figli e ci si separa di più, quindi il numero dei componenti di una famiglia si assottiglia.

Funzionano, secondo lei, nuovi sistemi come le case-famiglia e il co-housing?

Quando si pensa a nuovi modelli di assistenza, ovviamente, bisogna fare particolare attenzione. Pensiamo per esempio alle già citate delle case-famiglia, che ospitano fino a 6 anziani, in teoria abbastanza autosufficienti. A livello nazionale non esiste ancora una regolamentazione in materia: è sufficiente comunicare al proprio Comune di residenza l'avvio di questa attività. Eppure, a ben guardare i potenziali problemi esistono e, in parte, si sono già presentati, con alcuni episodi di violenze e di soprusi verificatisi all'interno di simili strutture. Teniamo inoltre presente che, senza arrivare a questo, la mancanza di una regolamentazione a livello nazionale permette per esempio di non prendere alcun accorgimento ‘pratico' per gestire gli ospiti, come prevedere bagni separati per gli uomini e per le donne. In teoria, ora basta anche un solo bagno per tutti. In ambito regionale, fortunatamente, da oltre un anno siamo riusciti a dare una regolamentazione a questo sistema, per impedire che il tutto sfugga di mano. Dobbiamo infatti evitare che una casa-famiglia diventi una sorta di ghetto e valorizzare, anche per queste strutture, il ruolo del volontariato. Percorrere tale strada del resto è importante anche perché le case-famiglia hanno abitualmente rette più basse di una struttura specializzata: di norma 1.000-1.500 euro al mese, quindi una spesa abbastanza abbordabile, magari tra la pensione e l'assegno di accompagnamento. È però opportuno, ripeto, arrivare a una loro totale regolamentazione, per evitare il più possibile esperienze spiacevoli o gravi.

Il co-housing, d'altronde, è una pratica ancora poco avviata, sulla quale secondo me bisognerebbe comunque continuare a ragionare. Mettersi insieme tra alcuni anziani, specialmente quando si è soli, può aiutare sotto molti aspetti.

Ci sono anche alternative per non lasciare gli anziani a loro stessi?

Un'alternativa, per individui semi autonomi che non necessitano di un'assistenza continua, può essere quella della cosiddetta “badante di condominio”, ovvero di una persona che assicuri un'assistenza periodica ma costante a diversi nuclei familiari, aiutando anche ciascuno di loro a sbrigare alcune faccende domestiche. Dove c'è una certa autonomia delle persone coinvolte, questa è senz'altro una soluzione molto economica e al tempo stesso valida.

Del resto, teniamo presente che da una casa di risposo difficilmente si esce e una buona percentuale degli ospiti vegeta al suo interno. Non sono belle esperienze.

Esistono inoltre ancora, in alcune diocesi, comprese quelle all'interno della provincia di Reggio Emilia, le cosiddette “Case di carità”, gestite dalla Chiesa. Tuttavia, anche tali strutture sono sempre più in difficoltà, anche perché faticano a tenere bassi i prezzi della retta, a fronte di elevati costi fissi.

La sua ‘ricetta' per il futuro?

Credo sia opportuno muoversi su più fronti e in più direzioni. Sicuramente chiederemo di più, per quanto ci riguarda, alla nostra Regione, che già destina al fondo per la non autosufficienza una somma importante, come 450 milioni di euro. Intendiamo però chiedere un aumento del 50% per questo fondo. Le necessità, infatti, sono in continua crescita. Basti solo un dato, sulle conseguenze del quale diventa molto semplice ragionare: nella città di Bologna, il 40% dei condomini di almeno 4 piani non ha l'ascensore. Per un cardiopatico e un anziano in generale può diventare molto difficoltoso anche semplicemente vivere in città.

28/02/2020

Condividi l'articolo su: