Non autosufficienza: un passo avanti, ma per le famiglie la riforma è ancora rinviata

Non autosufficienza: un passo avanti, ma per le famiglie la riforma è ancora rinviata
26/04/2024
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Non autosufficienza: un passo avanti, ma per le famiglie la riforma è ancora rinviata

DOVE ERAVAMO RIMASTI

Ci eravamo lasciati con gli Speciali del 21 ottobre del 2022, auspicando e sperando in una legge nazionale sulla non autosufficienza che rispondesse pienamente e concretamente ai bisogni della vasta platea di anziani e famiglie che vivono quotidianamente questa drammatica situazione. Ci aveva fatto sperare il fatto che il governo Draghi come ultimo atto del suo mandato, nell’ottobre del 2022, avesse, approvato lo schema del Disegno di Legge Delega per la riforma nazionale della non autosufficienza, impegno preso in consegna dal governo Meloni e tradotto nella Legge n. 33 del 2023 (Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane).

Nel corso di questo ultimo anno abbiamo seguito e partecipato attivamente, insieme alla Confederazione e insieme alle altre associazioni del Patto per un nuovo welfare della non autosufficienza, all’iter legislativo che ha portato all’approvazione del Decreto legislativo 15 marzo 2024, n. 29 recante “Disposizioni in materia di politiche in favore delle persone anziane, in attuazione della delega di cui agli articoli 3, 4 e 5 della legge 23 marzo 2023, n. 33”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.65 del 18 marzo scorso.

Questo decreto prosegue nel solco del processo di riforma avviato dalla Legge n. 33 sulle misure in favore degli anziani e sul loro accompagnamento nel percorso di vita, prevedendo misure volte a favorire nel proprio domicilio la piena autonomia e servizi di supporto nei casi di fragilità e non autosufficienza.

Ci saremmo aspettati dei miglioramenti sostanziali al testo originario, anche dopo le nostre indicazioni avanzate come FNP CISL, unitariamente con SPI e UILP e come Patto per un nuovo welfare della non autosufficienza.

Quando si deve fare una valutazione è opportuno mettersi nei panni di anziani e famiglie: che cosa cambierà per loro? Poco o nulla, non essendoci nel decreto risorse aggiuntive strutturali in più rispetto ad oggi.

I tre interventi che assorbono la gran parte delle risorse pubbliche sono:

  • Servizi residenziali
  • Servizi domiciliari
  • Indennità di accompagnamento.

Per nessuno dei tre oggi è in programma una revisione sostanziale.

Per la nuova prestazione universale, che in futuro avrebbe la velleità di sostituire l’indennità di accompagnamento, viene stanziato un finanziamento esiguo e non strutturale, avendo un orizzonte temporale di appena due anni, con un impatto sociale su una ridottissima platea di persone anziane non autosufficienti.

Siamo ottimisti e cogliamo, comunque, gli aspetti positivi di una legge e di un decreto che mettono le basi per avviare un processo di riforma dei servizi socio assistenziali rivolti agli anziani, creando un quadro nazionale di riferimento che era mancante e che fungerà da cornice per poi sviluppare e approvare decreti attuativi e linee guida necessari affinché le misure previste vengano messe a terra.

Ovviamente, possiamo costatare che le risorse messe a disposizione, circa 1 miliardo di euro complessivamente di cui 500 milioni per la sperimentazione della prestazione universale, non consentono al momento grandi rivoluzioni nell’offerta di servizi, ma crediamo che avere messo l’anziano, e l’assistenza ad esso dedicata, di nuovo al centro del dibattito politico sia di buon auspicio per il futuro.

I DECRETI ATTUATIVI

Il decreto, come detto, riprende i principi della Legge n. 33 senza stravolgerne i contenuti e le finalità, mantenendo spesso la genericità espressiva della legge.

La maggior parte delle misure prevedono un rimando a nuove definizioni o decreti che dovranno essere approvati nei prossimi, in particolare:

  • Entro 3 mesi dall’entrata in vigore del decreto, sono adottate le «Linee di indirizzo nazionali per la promozione dell’accessibilità delle persone anziane ai servizi e alle risorse del territorio».
  • Entro 3 mesi sono individuate le prestazioni di telemedicina. È prevista la delimitazione del territorio nazionale in tre grandi aree geografiche e l’attivazione entro 6 mesi, in via sperimentale e per un periodo massimo di diciotto mesi, di almeno un servizio di telemedicina domiciliare nell’ambito di ciascuna di tali aree geografiche.
  • Entro 6 mesi sono individuati i requisiti reddituali delle persone anziane beneficiarie, le modalità di donazione e distribuzione gratuita di medicinali veterinari destinati alla cura degli animali d’affezione a enti del terzo settore e alle strutture di raccolta e ricovero degli animali abbandonati.
  • Entro 12 mesi sono definiti i criteri per l’individuazione delle priorità di accesso ai PUA, la composizione e le modalità di funzionamento delle UVM, lo strumento della valutazione multidimensionale unificata omogeneo a livello nazionale e basato sulle linee guida del sistema nazionale e informatizzato e scientificamente validato per l’accertamento della non autosufficienza e per la definizione del PAI.
  • Entro 6 mesi il CIPA predispone le linee guida volte a definire le caratteristiche ed i contenuti essenziali di interventi e modelli di coabitazione solidale domiciliare per le persone anziane (senior cohousing) e di coabitazione intergenerazionale (cohousing intergenerazionale), in particolare con i giovani in condizioni svantaggiate.
  • Entro 4 mesi sono definiti il sistema di monitoraggio e i relativi criteri, gli indicatori specifici relativi allo stato di attuazione dell’erogazione dei LEPS e degli obiettivi di servizio, nonché interventi sostitutivi in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di servizio o LEPS. Con cadenza triennale, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali effettua una verifica, sulla base delle attività di monitoraggio specificamente previste e disciplinate per ciascuno dei settori considerati, del grado di adeguatezza dei LEPS.
  • Entro 4 mesi si provvede ad adottare le linee guida finalizzate al miglioramento delle capacità gestionali degli ATS e all’attuazione graduale e progressiva dei LEPS nel limite delle risorse disponibili a legislazione vigente.
  • Entro 3 mesi sono stabilite le modalità attuative e operative della prestazione universale, dei relativi controlli e dell’eventuale revoca, nonché le connesse attività preparatorie e organizzative, anche a carattere informativo, da espletarsi entro il 31 dicembre 2024.
  • Entro 4 mesi il Ministero della Salute, d’intesa con la Conferenza Stato Regioni, provvede all’individuazione e all’aggiornamento, secondo principi di semplificazione dei procedimenti e di sussidiarietà delle relative competenze normative e amministrative, di criteri condivisi ed omogenei a livello nazionale per l’individuazione dei requisiti minimi di sicurezza e dei requisiti ulteriori di qualità per l’autorizzazione e l’accreditamento delle strutture e delle organizzazioni pubbliche e private, anche appartenenti ad enti del terzo settore, che erogano prestazioni residenziali, semiresidenziali e domiciliari a carattere sanitario e sociosanitario.

LE CRITICITÀ

La maggior parte delle misure della riforma hanno un arco temporale di attuazione abbastanza dilatato, che fa capire come siamo ancora lontani dal poter vedere un qualche effetto positivo nel breve periodo.

Basti pensare che i criteri per l’individuazione delle priorità di accesso ai PUA, la composizione e le modalità di funzionamento delle UVM e dello strumento della valutazione multidimensionale unificata omogeneo a livello nazionale, avranno ulteriori 12 mesi per essere messi a regime (entro marzo 2025).

Anche la stessa «prestazione universale» inizierà la propria sperimentazione non prima del 1° gennaio 2025 e avrà una durata di soli due anni, terminando entro il 31 dicembre 2026.

Inoltre, l’insufficienza di risorse non aiuta nella programmazione nel medio-lungo periodo.

Analizzando il testo del decreto legislativo rispetto alla Legge n. 33, esso tradisce l’originario intento di riforma dell’indennità di accompagnamento fondato su tre principi:

  • Universalismo
  • Graduazione secondo bisogno
  • Più risorse per più servizi

LA PRESTAZIONE UNIVERSALE

L’indennità di accompagnamento, usufruita fino ad oggi dalla persona non autosufficiente, verrà assorbita dalla nuova prestazione universale.

La nuova «prestazione universale»:

  • È rivolta esclusivamente ad anziani over 80 a cui è stata certificata la non autosufficienza, con un ISEE non superiore a 6000 euro.
  • Stabilisce una “quota fissa monetaria”, corrispondente all’indennità di accompagnamento di 531,76 euro (che, come noto, viene erogata in forma fissa).
  • Introduce una quota integrativa detta “assegno di assistenza”, pari a 850 euro mensili, finalizzata a remunerare il costo del lavoro di cura e assistenza contrattualizzato, svolto da lavoratori domestici con mansioni di assistenza alla persona o l’acquisto di servizi destinati al lavoro di cura e assistenza e forniti da imprese qualificate nel settore dell’assistenza sociale non residenziale, nel rispetto delle specifiche previsioni contenute nella programmazione integrata di livello regionale e locale.

Nel caso in cui venga accertato che la quota integrativa non è stata utilizzata, in tutto o in parte, per la stipula di rapporti di lavoro o per l’acquisto di servizi assistenziali, l’INPS procederà alla revoca della sola quota integrativa definita «assegno di assistenza» e il beneficiario sarà tenuto alla restituzione di quanto indebitamente ricevuto.

È una riforma che avrà un impatto solo su una platea assai ridotta di anziani non autosufficienti, si stima siano meno di 25 mila i possibili beneficiari tra gli attuali percettori dell’indennità di accompagnamento.

Probabilmente la sua estensione avrebbe avuto costi esorbitanti pari a 10,2 miliardi, se estesa a tutti gli ultra 80enni che ricevono l’indennità di accompagnamento, che salirebbero a 14,3 miliardi se si includessero tutti i percettori dai 65 anni in su.

Viene introdotto il principio che si può fruire dell’assistenza per la non autosufficienza solo se si è poveri mentre attraverso il welfare è necessario sostenere anche le classi medie che non sono sicuramente ricche. Un ricco non autosufficiente al 100% percepisce ancora oggi l’indennità di accompagnamento, mentre un povero non autosufficiente al 99% no.

Oggi un anziano per accedere alla prestazione universale dovrà essere oltre che ultra 80enne e non autosufficiente, anche percettore di una pensione sociale o, comunque, di una pensione non superiore ai 9 mila euro lordi l’anno (circa 700 euro nette al mese) se vive solo, 12 mila euro se vive con altra persona, e dovrà vivere in affitto o essere proprietario di prima casa con valore complessivo ai fini IMU di massimo 40 mila euro (valore presente solo in zone rurali, ultra periferiche e di dimensioni modeste e accatastate come abitazioni economiche).

Quindi, coloro che accederanno al contributo aggiuntivo di 850 euro saranno anziani con patologie croniche invalidanti, socialmente ed economicamente fragili, che avranno bisogno costante di cure e assistenza. Oggi la prestazione universale prevede un contributo complessivo di 1.350 euro, somma che non sarà sufficiente a pagare un’assistente familiare, considerando che il solo costo lordo di una badante con inquadramento CS è mensilmente di almeno 1.360 euro, a cui si dovranno aggiungere le spese per la badante in sostituzione nelle giornate di riposo, i costi per il vitto, il pagamento delle varie utenze e gli extra per l’assistenza notturna.

DI COSA HANNO BISOGNO GLI ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI?

Oggi gli anziani non autosufficienti hanno bisogno non solo di soldi ma soprattutto di servizi efficienti e costanti di assistenza.

Attualmente l’ADI (Assistenza domiciliare integrata) dura in media tre mesi (17 ore medie all’anno) mentre la non autosufficienza si protrae spesso per anni.

Non è sufficiente fornire singole prestazioni infermieristiche (medicazioni, cambio catetere, ecc.) senza affrontare le esigenze complesse della non autosufficienza a 360 gradi, da quelle dei servizi di informazione/consulenza ai servizi di sollievo e sostegno psicologico per i familiari.

Se l’obiettivo della riforma è quello di migliorare i servizi domiciliari manca ancora un nuovo modello specifico per la non autosufficienza.

Si stabilisce unicamente il coordinamento tra gli interventi sociali e sanitari erogati dagli attuali servizi domiciliari, senza, però, prendere in considerazione aspetti decisivi quali la durata dell’assistenza fornita e i diversi professionisti da coinvolgere.

UN PIANO DI FINANZIAMENTI PLURIENNALE

La riforma per la sua piena realizzazione richiederà un piano di finanziamenti pluriennale e strutturale, e soprattutto una grandissima capacità di dialogo e di confronto tra Istituzioni e tutti i soggetti coinvolti.

La stessa conferenza delle Regioni ha mantenuto un giudizio negativo sul testo del decreto da non sottovalutare e che ci deve fare riflettere sulle difficoltà nel cammino ancora lungo della legge, che richiederà tempi di messa a punto non inferiori ai 5 -10 anni.

Serve concretezza, non basta un testo ricco di dichiarazioni di principio. Ad oggi non si intravede ancora un riordino complessivo del settore della non autosufficienza, come prevede lo stesso PNRR, che è il vero obiettivo della riforma attesa in Italia da oltre 20 anni.

Questa riforma ha la necessità di finanziare e sviluppare i servizi di assistenza di prossimità nei circa 8 mila comuni, e in modo particolare in quei 6 mila piccoli comuni dove gli anziani rappresentano una risorsa di vitalità dei borghi.

Per il biennio 2025/26 saranno disponibili circa 1,1 miliardi di euro, in gran parte di provenienza PNRR. Metà di queste risorse andranno spese per la sperimentazione della prestazione universale, mentre l’altra metà per gli interventi di promozione del co-housing, per la nuova assistenza domiciliare integrata sociale e sanitaria continuativa, per la medicina palliativa e per la medicina digitale.

Bisognerà spendere bene e dove ci sarà maggior bisogno, a partire dall’abitazione come primo luogo di cura.

Oltre ai soldi abbiamo bisogno anche di risorse umane, sia per quanto riguarda le professionalità sanitarie che quelle sociali. Entrambe oggi sono scarse, figuriamoci per la espansione che la riforma richiederà nei prossimi anni. Ci vorrà tempo!

UNA RIFORMA AMBIZIOSA

La riforma è ambiziosa e ampia, e siamo consapevoli che, nonostante l’esiguità dei fondi, siamo di fronte ad una svolta culturale e sociale: finalmente si riconosce il ruolo degli anziani in questo paese, da invisibili sono diventati visibili.

Questo risultato è frutto dell’impegno straordinario dei sindacati dei pensionati negli ultimi 20 anni e del lavoro proficuo e attento di chi ci ha preceduto.

Ci sono due difficoltà all’orizzonte: il minimalismo di chi vuole una riforma a zero investimenti e il massimalismo di chi vorrebbe garantito tutto e subito. Due sterili contrapposizioni che oggi non servono e non sono costruttivi per il percorso della riforma.

Per quanto ci riguarda la vera riforma dell’assistenza agli anziani è stata solo rinviata.

Il decreto rappresenta sicuramente un passo avanti, però non prevede quella riforma complessiva della non autosufficienza prevista dal PNRR e già adottata da tanti Paesi europei, come Germania (1995), Francia (2002) e Spagna (2006).

L’Italia ha urgente bisogno di una vera riforma sulla non autosufficienza, è un dovere verso milioni di persone anziane e le loro famiglie, che affrontano quotidianamente grandi disagi, sofferenze e rischi di impoverimento: arrivarci è l’obiettivo del prossimo futuro.

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