La quarta rivoluzione industriale

La quarta rivoluzione industriale

L'editoriale dell'ultimo numero di Contromano

 

Uno dei temi più discussi negli ambienti sindacali, imprenditoriali e politici è l'avvento della cosiddetta “industria 4.0”. Questo processo comprende molto più dell'industria, perché anche l'agricoltura e i servizi saranno investiti dall'onda dell'innovazione della quarta rivoluzione industriale. La digitalizzazione sta infatti espandendosi in ogni aspetto della vita. È una prospettiva che va affrontata e che coinvolge anche la FNP e i pensionati. L'attenzione del sindacato è rivolta prevalentemente verso l'industria 4.0 in senso stretto, perché uno degli aspetti rilevanti della Quarta Rivoluzione in corso è la prevedibile riduzione, nei tempi brevi, della occupazione nelle imprese manifatturiere più direttamente interessate, ma la questione e ben più complessa. È una situazione del tutto nuova per la quale le esperienze del passato sono scarsamente utili.

Warren Bennis, un accademico americano, ha detto: “L'industria del futuro avrà solo 2 dipendenti: un uomo e un cane. L'uomo sarà lì per nutrire il cane. Il cane sarà lì per evitare che l'uomo tocchi qualcosa”.

Evidentemente è una provocazione: nel futuro prevedibile fabbriche assolutamente senza lavoratori non ci saranno. I dati del World Economic Forum contenuti nel rapporto “Future of  jobs” ci dicono che in pochi anni il problema occupazionale in Italia potrebbe diventare molto difficile. Nelle prime rivoluzioni industriali dell'800 in Europa, dopo un primo impatto negativo immediato, a medio-lungo termine l'occupazione ha ripreso a crescere. Nei trent'anni del dopoguerra, invece, la produttività non seguiva la produzione. L'occupazione ebbe una esplosione nel Nord provocando una grande migrazione dal Sud. Con la “quarta rivoluzione” industriale, nel medio-lungo termine l'occupazione può, pertanto, crescere in misura soddisfacente, ma in Italia, nell'immediato, è prevedibile un aumento della disoccupazione.

Molte e complesse sono le formule per contrastare gli effetti negativi e favorire e sostenere quelli positivi indotti dalla crescita geometrica dell'innovazione tecnologica. Una tuttavia va sottolineata: è la necessità di intensificare in modo robusto la “formazione e scuola”. Nel “future of jobs” salta agli occhi un dato: il 65% dei bambini che cominciano adesso il loro ciclo di studi sono destinati a trovare al termine un lavoro che oggi non esiste.

Ciò significa che potrà formarsi una quota di disoccupazione in più, perché la domanda e l'offerta di lavoro non riusciranno a incontrarsi e che i datori di lavoro saranno destinati ad una ricerca di personale lunga e spesso infruttuosa. I dati, infatti, parlano di un 53% della popolazione oggi totalmente a digiuno di competenze informatiche, e di un misero 9% di popolazione a conoscenza degli strumenti in ambito ICT. L'istruzione e la formazione (e una gestione efficiente del mercato del lavoro!) saranno la chiave di volta per rendere vantaggiose le “cose nuove” che ci attendono.

Un altro aspetto che nel dibattito in corso è troppo spesso accantonato, ma di facile quanto preoccupante previsione, è un ulteriore aumento delle diseguaglianze economiche, sociali e di relazione tra le persone e tra i popoli del pianeta.

In questo quadro è prevedibile che i pensionati delle classi popolari saranno esposti al rischio di una riduzione drastica delle risorse per i loro emolumenti e i futuri pensionati della loro rendita, che potrebbe diventare assolutamente insufficiente. La riduzione della platea di contribuenti, la mobilità accentuata (anche per la chiusura di imprese obsolete e l'apertura di eccellenti) la inevitabile flessibilità del lavoro, gli ingranaggi difettosi del mercato del lavoro, i problemi della “scuola e formazione”: Tutto potrebbe concorrere a mettere a rischio le pensioni e nell'insieme aumentare le differenze tra poveri e ricchi, già ora oltre il limite della decenza.

 Anche il sindacato ha l'obbligo di impegnarsi in una attività formativa intensa per essere all'altezza della evoluzione radicale che si prospetta. In tutta la nostra storia abbiamo dominato le novità quando le abbiamo comprese, anche dal lato tecnico, e le abbiamo spiegate ai dirigenti, agli operatori e ai lavoratori, insieme alla strategia per non subirle, avendo, invece, il potere di contrattarle. Per capirci: come avvenne per la rivoluzione Taylorista (tempi e metodi) e per i cottimi. Alla situazione attuale si adattano bene le parole del padre storico della formazione sindacale della CISL Mario Romani <<L'organizzatore, il dirigente sindacale, ha un compito specifico. Ma non c'è ombra di dubbio che questo suo compito specifico è massicciamente dominato dalle novità che il progresso tecnologico, che il ripensamento dei fattori della produzione, che i contraccolpi sulle strutture sociali di queste innovazioni portano. Il dirigente sindacale è a quotidiano contatto con queste innovazioni e le loro conseguenze e deve essere in grado di dominarle nel suo campo specifico di lavoro, di anticipare le innovazioni a venire, di prevederle queste mutazioni, e di aggiustare la sua condotta, le sue decisioni, la sua azione, non tanto al metro della esperienza passata che minaccia di non contare veramente più in questo mondo che si trasforma, quanto al metro delle ragionate previsioni su quello che sarà l'immediato futuro.>>.

Sapere è potere. Questo è il compito della formazione Sindacale: la preparazione dei dirigenti e degli operatori sindacali tale che possano essere alla pari dei rappresentanti delle istituzioni a tutti i livelli e degli amministratori delle imprese e consentire al sindacato, quanto meno alla CISL, la partecipazione da co-protagonista nel gestire la quarta rivoluzione industriale, come lo siamo stati in quella dei cosiddetti “30 anni gloriosi”.

 

Attilio Rimoldi

15/03/2017

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