50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese

50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese

Il 2 dicembre si è svolta presso il Cnel la presentazione della cinquantesima edizione del Rapporto sulla situazione del Paese 2016 del Censis, presieduta dal Presidente De Rita che, con le sue sempre acute disamine, ci ha descritto gli aspetti fenomenologici dell'evoluzione del nostro Paese.

In quest'ultimo anno l'Italia non ha cambiato il proprio trend, rimanendo in una sorta di “limbo” con una stagnazione economica preoccupante caratterizzata da una crescita dello “zero virgola” che, di fatto, ha lasciato invariati gli scenari macroeconomici con il debito pubblico sempre crescente, il tasso di occupazione solo apparentemente migliorato con il proliferare dei voucher e di contratti a termine e, soprattutto, con la manifesta mancanza di una progettualità di crescita nel medio-lungo periodo.

Si registra una crescente accumulazione dei risparmi da parte degli italiani, con una forte espansione dell'uso del cash foriera di un'economia sommersa alimentata dall'evasione fiscale e dal riciclaggio. A questa si aggiunge una differente gestione del patrimonio immobiliare, messo a reddito attraverso affitti o con la creazione dei bed & breakfast o affitta camere.

Nel frattempo mentre l'Italia ha continuato a vivere il proprio quotidiano senza modificare le proprie abitudini, sono accaduti tre eventi che avranno un effetto destabilizzante nel medio periodo nella società, creando profonde cicatrici difficilmente sanabili. Tra questi il Rapporto enuncia la Brexit, ossia l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, che potrebbe portare a squilibri in politica internazionale, la dolorosa questione della ricostruzione e rilancio turistico dei territori appenninici dopo il sisma, e, infine, lo scollamento sempre più evidente tra corpo politico e corpo sociale che ha di fatto creato una “società dissociativa”. Il mondo delle istituzioni è profondamente in crisi, con una qualità in declino degli interpreti politici rispetto al passato, che non fa che rinforzare i movimenti populisti. Senza la “cerniera” sociale delle istituzioni, politica e corpo sociale non dialogano più e si chiudono nelle loro entità, utilizzando le proprie forze per delegittimarsi a vicenda e per difendere le proprie posizioni senza avere una visione unitaria del bene comune. Qui di seguito riportiamo alcune tematiche contenute nel Rapporto, particolarmente rilevanti.

Welfare

Il progressivo restringimento del welfare legato agli obiettivi di finanza pubblica appare evidente nella dinamica recente della spesa sanitaria. Dal 2009 al 2015 si registra solo una lieve riduzione in termini reali della spesa pubblica. Nello stesso arco di tempo la spesa sanitaria privata, dopo una fase di crescita significativa, si riduce a partire dal 2012, per riprendere ad aumentare negli ultimi due anni (+2,4% dal 2014 al 2015), fino a raggiungere nel 2015 i  34,8 miliardi di euro, cioè poco meno del 24% della spesa sanitaria totale. Aumenta poi la compartecipazione dei cittadini alla spesa: +32,4% in termini reali dal 2009 al 2015 (con un incremento più consistente della compartecipazione alla spesa farmaceutica: 2,9 miliardi, +74,4%). Gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che nel 2016 hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche. Anche l'offerta ospedaliera mostra una progressiva riduzione dei posti letto (3,3 per 1.000 abitanti in Italia nel 2013 secondo i dati Eurostat, contro i 5,2 in media dei 28 Paesi Ue, gli 8,2 della Germania e i 6,3 della Francia).

La salute e i limiti della disintermediazione

L'accesso diretto all'informazione sanitaria, certamente enfatizzato dalle potenzialità praticamente infinite della rete, ha avuto un impatto dirompente anche sulla trasformazione della relazione medico-paziente. Il modello a cui si riferisce la quota maggiore degli italiani (50,9%) è quello della scelta terapeutica condivisa: una relazione basata sul dialogo, nella quale il medico e il paziente collaborano per prendere decisioni riguardanti la salute di quest'ultimo. Anche il paziente-utente informato del web ribadisce il ruolo strategico del medico come fonte principale di informazione sanitaria (il 73,3% degli italiani cita il medico di medicina generale), mentre  circa un italiano su 5 ammette la funzione strategica di televisione e internet. La quota di chi ritiene che troppe informazioni reperite sul web possano confondere chi non è esperto e che su questioni riguardanti la salute a decidere debbano essere i medici è cresciuta nel tempo, passando dal 46,6% del 2006 al 54,5% del 2014. Nel 2016 quasi la metà degli italiani attribuisce al medico di medicina generale la responsabilità di dare informazioni circostanziate ai pazienti  e di guidarli verso le strutture più adatte, a fronte del 12,1% che attribuisce a internet un ruolo strategico nella selezione delle strutture e dei professionisti attraverso la disponibilità d'informazioni sicure e certificate sui servizi.

L'Italia non è un Paese per genitori

Che in Italia si facciano pochi figli e sempre più avanti negli anni è una consapevolezza ormai diffusa nell'immaginario collettivo. Secondo un'indagine del Censis, l'87,7% degli italiani pensa che il nostro Paese sia afflitto dalla scarsa natalità. Per l'83,3% la crisi economica ha avuto un impatto sulla propensione alla natalità rendendo più difficile la scelta di avere figli anche per chi li vorrebbe. Il 60,7% è tuttavia convinto che, se migliorassero gli interventi pubblici su vari fronti (sussidi, asili nido, sgravi fiscali, orari di lavoro più flessibili, permessi per le esigenze dei figli), la scelta di avere un figlio sarebbe più facile.

Disegualmente poveri: la geografia dei nuovi disagi

Il mercato del lavoro oggi genera sempre meno opportunità occupazionali, lasciando senza redditi da lavoro quote crescenti di famiglie. Tuttavia, la povertà economica è solo uno degli aspetti del disagio sociale. La deprivazione coinvolge anche famiglie che sono al di sopra della soglia di povertà. Sono in condizioni di deprivazione materiale grave 6,9 milioni di persone nel 2014 (+2,6 milioni rispetto al 2010) e uno zoccolo duro di 4,4 milioni deprivati di lungo corso, cioè almeno dal 2010. Le famiglie in deprivazione abitativa sono 7,1 milioni nel 2014 (+1,7% rispetto al 2004). Quelle in severa deprivazione abitativa sono 826.000 (+0,4% rispetto al 2004). Le famiglie in deprivazione di beni durevoli sono 2,5 milioni nel 2014, di queste 775.000 sono in gravi condizioni di deprivazione. Le famiglie in povertà alimentare sono oltre 2 milioni nel 2014 (pari all'8% del totale). E i minori in povertà relativa nel 2015 sono oltre 2 milioni (il 20,2% del totale). La crisi e la stentata ripresa hanno creato un gorgo che può attirare in sé anche chi tradizionalmente è rimasto lontano dal disagio: questo genera una incertezza diffusa e spinge a pensare che solo pochi sono fuori dal rischio di cadere in condizioni di disagio.

Senza stranieri il rischio è il declino

Nell'ultimo anno l'allarme demografico ha raggiunto il suo apice: diminuisce la popolazione (nel 2015 le nascite sono state 485.780, il minimo storico dall'Unità d'Italia a oggi), la fecondità si è ridotta a 1,35 figli per donna, gli anziani rappresentano il 22% della popolazione e i minori il 16,5%. Senza giovani né  bambini, il nostro viene percepito come un Paese senza futuro. Lo testimonia anche il boom delle cancellazioni dall'anagrafe di italiani trasferitisi all'estero, che nel 2015 sono stati 102.259: una cifra praticamente raddoppiata negli ultimi quattro anni e che ha avuto una crescita del 15,1% solo nell'ultimo anno. In un Paese in cui la piramide generazionale si è rovesciata, gli stranieri rappresentano un importante serbatoio di energie. Dal 2001 a oggi la popolazione è aumentata del 6,5%, raggiungendo gli attuali 60.666.000 abitanti: ma questa crescita è stata tutta determinata dalla componente straniera, che è quasi triplicata negli ultimi quindici anni (+274,7%).  Immaginare un'Italia senza stranieri vorrebbe dire pensare a un Paese con oltre 2,5 milioni di minori e under 35 in meno. Se accanto ai dati del bilancio demografico si analizzano le previsioni sull'andamento futuro della popolazione, emerge che nel 2030 avremo una popolazione di 61.605.000 di individui, in aumento dell'1,5% rispetto a oggi. Tale crescita sarà però l'effetto di una diminuzione dei cittadini italiani del 5,6%, per cui nel 2030 saremo complessivamente 52,5 milioni, e di una crescita dell'81,1% dei cittadini stranieri, che diventeranno oltre 9 milioni, vale a dire il 14,8% dell'intera popolazione. Tra questi, i minori stranieri saranno quasi 2 milioni e rappresenteranno il 21,6% del totale dei minori. Il quadro previsionale vede una diminuzione degli under 18 (-10% nei dieci anni considerati), una tenuta dei millennials (+0,7%), una riduzione degli individui di età compresa tra i 35 e i 64 anni (-3,9%), e una crescita del contingente più anziano (+21,6%). In altre parole, l'effetto combinato del prolungamento della vita media e dell'omologazione dei comportamenti demografici degli stranieri a quelli degli italiani, se non affrontato da politiche di sviluppo e di disincentivo della «fuga altrove», potrebbe determinare, anche nel futuro, una situazione di ristagno per il nostro Paese.

La paura degli stranieri e il bisogno di risposte condivise

L'ultima rilevazione dell'Eurobarometro rivela come le  due principali questioni che preoccupano l'Europa sono l'immigrazione, segnalata come questione prioritaria dal 48% degli europei e dal 44% degli italiani, e il terrorismo, indicato dal 39% dei cittadini dell'Unione e dal 34% di quelli italiani. Un'indagine realizzata dal Censis su un campione nazionale di cittadini subito dopo le stragi del 13 novembre 2015 a Parigi, ha fatto emergere come il 65,4% degli italiani abbia modificato le proprie abitudini a causa delle nuove paure. Nell'immediato, il 73,1% ha evitato di fare viaggi all'estero, il 53,1% ha evitato luoghi percepiti come possibili bersagli di attentati (piazze, monumenti, stazioni), il 52,7% ha disertato luoghi affollati (cinema, teatri, musei, sale per concerti, luoghi della movida), il 27,5% non ha preso la metropolitana, il 18% ha evitato di uscire la sera. Ma gli italiani sono convinti che queste microstrategie non siano sufficienti a risolvere problemi che avrebbero bisogno di una governance condivisa sul terreno dell'ordine pubblico e dell'intelligence. Il 67% dei cittadini europei chiede una politica comune europea anche in materia di immigrazione.

Per chi volesse approfondire i temi trattati dal Rapporto, potrà acquistare il volume nelle librerie o direttamente sul sito del Censis.

06/12/2016

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